La storia medievale potrebbe esser ricostruita, anche se in maniera parziale, attraverso l’analisi dei processi di produzione delle derrate alimentari. Le fonti più importanti per poter capire quale fosse l’alimentazione nel Medioevo, sono per lo più i documenti d’archivio ecclesiastici ed i resti ossei o ceramici, rinvenuti durante gli scavi archeologici.

Il cibo del Medioevo

I prodotti dell’orto erano alla base dell’economia alimentare per i più poveri e per i monaci, che avevano scelto un’alimentazione vegetariana, impostagli dalla rigida regola della vita conventuale.

Il Pulmentarium, ossia una zuppa di ortaggi e legumi, era il piatto principale della mensa medievale. I ricchi si nutrivano abbondantemente, avendo a loro disposizione una gran varietà di cibi.

Amavano la cacciagione, i pesci soprattutto d’acqua dolce come le anguille, coregoni, lucci, trote. Il miele, era l’unico dolcificante noto, spesso miscelato al vino con altre spezie. Il popolino mangiava per lo più verdure (cipolle,cavoli,rape,carote), oppure uova e frutta.

Alla base dell’alimentazione medioevale rimaneva il pane fatto di orzo o segale, quello ricavato dalla farina di frumento era per i nobili. La birra era la bevanda più diffusa rispetto al vino e al sidro, prodotto dalla fermentazione delle mele. L’olio d’oliva era raro ma costoso e lo si trovava solo in Italia e in Spagna. Era sostituito con quello ricavato dalle mandorle, dalle noci e dai semi di canapa o dai grassi animali come lardo e strutto.

La carne di maiale era la più amata, assieme a quella ovina e a qualche pollo o coniglio, quella di vitello era la più pregiata. Molto diffuse erano le erbe aromatiche per dare sapore alle vivande. Durante le scene di banchetti medievali, visibili negli affreschi di palazzi signorili o castelli, si intravede come la sedia del signore fosse più elevata rispetto alle altre, infatti gli altri commensali erano seduti di solito su degli sgabelli.

I piatti erano di stagno, rame, ceramica o legno pregiato, mentre il vasellame di metallo prezioso era usato nei giorni di festa; le bottiglie di vetro o le brocche metalliche servivano per contenere le bevande che venivano servite in coppe di metallo prezioso, vetro o legno finemente decorate. Nei documenti di quel tempo erano citate come posate solo cucchiai, coltelli e mestoli.

Il Regimen Sanitatis Salernitanum

E’ un trattato in versi latini del XII-XIII secolo redatto nell’ambito della Scuola Medica Salernitana, che fornisce tutta una serie di regole comportamentali ed igieniche, oltre che sul corretto uso dei cibi e delle erbe medicamentose, usate per la guarigione di diverse malattie.

Proprio nel Regimen si parla dei cibi nutritivi e utili all’organismo, i cui versi latini recitano: “Nutrit et impinguattriticum, lac, causeusinfans, testiculi, porcina caro, cerebella, medullae, dulciavina, cibusgustuiucundior, ovasorbilia, maturae ficus, uvaequerecentes”, ovvero “Nutre e ingrassa il grano eletto, latte e cacio giovinetto, il maiale ed i granelli, le midolle ed i cervelli, l’uovo al guscio, il vino dolce, il patin che alleta e dolce, il buon fico mèl stillante, l’uva colta poco innante”.

Si potrebbero citare ancora altre curiosità, ma quello che più sorprende è che la civiltà medievale è affascinante e ricca di usanze che ancora oggi vengono tramandate di famiglia in famiglia. Concludendo si vuole segnalare una ricetta medievale tratta dall’opera Libro de arte Coquinaria del Maestro Martino, che risale al XV secolo, un vero e proprio contenitore di ricette moderne ante litteram, raffinate e calibrate nell’uso delle spezie e della cromia degli ingredienti, un capolavoro letterario che si pone a metà tra Medioevo e Rinascimento.

La torta comune del maestro Martino

Il titolo della ricetta è la Torta Comune, riproducibile in casa, poiché gli ingredienti sono semplici e facilmente reperibili. Si vuole riportare il testo integrale in volgare e a fronte la versione più contemporanea della preparazione, che vi permetterà di eseguirla in breve tempo.

TORTA COMMUNE
Habi di bon caso con octoova et con bon grasso di porche o di vitello, overo del butiro, dell’uva passa integra, del zenzevro, de lacannella, et un pocho di pan gratato, con un pocho di brodo grasso che sia giallo de zafrano et conciare la farai como di sopra è ditto dela torta biancha.

Per la pasta brisè
• 200 g di farina
• 100 g di burro
• acqua ghiacciata 70-80 ml e un pizzico di sale

Per il ripieno
• 700 g di pecorino fresco o di formaggio tipo giuncata
• 100 g di burro morbido a pomata
• 100 g di uva passa
• 100 g di pangrattato
• 3 uova
• 3 cucchiai di brodo (possibilmente di pollo)
• ½ cucchiaino di cannella in polvere
• ½ cucchiaino di zenzero in polvere
• 4-5 pistilli di zafferano
• sale

Procedimento
Si prepara la pasta brisè e la si fa riposare per 1 o 2 ore in un luogo fresco. Si grattugia o si schiaccia il formaggio in modo da ottenere un composto lavorabile. Si aggiungono le uova precedentemente sbattute ed il burro. Si mescola energicamente il tutto sino a renderlo liscio e compatto.

Vengono poi incorporati gli altri ingredienti tra cui l’uva passa, il pangrattato e il brodo colorato con i pistilli di zafferano. Si aggiungono le spezie. Si stende a questo punto una sottile sfoglia di pasta, che serve a foderare uno stampo, leggermente imburrato e infarinato. All’interno si versa il ripieno e si fa cuocere in forno caldo (a 220 gradi) per circa 1 ora, controllando che la parte inferiore della torta sia ben cotta.

La torta, nell’antichità veniva cotta nella brace del camino, e per rendere la cottura omogenea si aggiungeva il fuoco sia sopra che sotto.

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