Il Comitato tecnico permanente agricoltura della Conferenza Stato-Regioni esprime parere favorevole alla soppressione dell’obbligo di impiegare seme certificato. All’allarme di Assosementi si uniscono Ivano Vacondio (ex presidente Italmopa-Confindustria) e Giuseppe Amato, industriale della pasta. «Più difficile fare qualità, ma nessun pericolo per la sicurezza alimentare, assolutamente garantita», afferma Vacondio.

Amato rilancia i Progetti integrati di filiera: «Accordo con Confagricoltura da due anni, lavorate oltre 15mila tonnellate di grano duro. L’obiettivo della qualità ispira da anni il lavoro del Mipaaf, speriamo resti l’obbligo di impiegare seme certificato». Questi temi saranno approfonditi a Siab con gli esperti del settore.

Il grano duro, elemento principale per la pasta, dunque, ancora una volta fa discutere. È notizia di questi giorni, infatti, che il Comitato tecnico permanente agricoltura della Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole alla soppressione dell’obbligo di impiegare seme certificato, per accedere ai contributi previsti dall’articolo 68 per il grano duro.

Una decisione che attende ora una ratifica in sede di Conferenza Stato-Regioni, contro la quale si è già mobilitata Assosementi, l’Associazione nazionale delle aziende sementiere (fonte: www.agricolturaonweb.info).

Siab, il Salone internazionale dell’arte bianca, in programma a Veronafiere dal 22 al 26 maggio prossimi, ha intervistato alcuni fra i più importanti esponenti del «mondo pasta»  per delineare meglio la situazione.

Al grido d’allarme del numero uno dei produttori di sementi, Carlo Invernizzi, secondo il quale appunto «con una simile disposizione, che elimina l’obbligo di utilizzare seme certificato, si sarebbe sconfessata una politica di qualità portata avanti dal ministero delle Politiche agricole ormai da vent’anni e si condannerebbe a morte il miglioramento genetico, incentivato grazie ai proventi derivati dalle vendite di seme certificato», si aggiungono esponenti dell’industria molitoria e dei produttori di pasta. Quasi completamente allineati alla posizione di Assosementi, seppur con qualche distinguo. Certamente coesi a ribadire una politica di qualità per tutta la filiera cerealicola e della pasta.

Il presidente di Molini d’Italia, Ivano Vacondio (già presidente di Italmopa, l’associazione dei mugnai e dell’industria molitoria aderente a Confindustria), mette in luce appunto «il rischio di un abbassamento della qualità dei prodotti della prima trasformazione e, successivamente, della produzione di pasta, nel caso in cui gli imprenditori agricoli scegliessero di utilizzare semi non certificati».

Su questo punto la preoccupazione di un appiattimento della qualità al ribasso è del tutto simile a quella espressa da Invernizzi di Assosementi. Le divergenze, semmai, riguardano un’altra questione, relativa alla sicurezza alimentare.

Il numero uno degli industriali sementieri si è infatti espresso così in questi giorni: «L’Italia pensa di togliere un incentivo all’uso di seme certificato, che rappresenta il primo strumento alla base di ogni percorso di tracciabilità, indispensabile a garantire la sicurezza alimentare in una produzione tipica come quelle della pasta».

Vacondio sulla sicurezza alimentare è in netto dissenso. «Parlare di rischio di abbassamento della qualità è sacrosanto – dichiara il presidente di Molini d’Italia – affermare fra le righe che la sicurezza alimentare è a rischio, mi sembra francamente un po’ esagerato. I controlli sulle materie prime, sui processi di trasformazione e lavorazione, fino al prodotto finito sono assolutamente efficaci e stringenti, tali per cui la sicurezza alimentare è assolutamente garantita in ogni sua fase.

I consumatori non devono temere alcunché». Un concetto ribadito con insistenza: «Siamo il Paese dove la sicurezza alimentare è garantita al 100 per cento e su questo punto non accettiamo una strumentalizzazione o la messa in discussione a fini di lobby».

Parimenti, Vacondio si trova a dover sostenere la tendenza attuale della filiera, a partire dai cerealicoltori, di contenere o limare i costi. «Il ragionamento è molto semplice – spiega – e riguarda la qualità. Se c’è ed è riconosciuta, deve essere remunerata in maniera adeguata. Ogni anello della filiera deve trarne beneficio: chi coltiva, chi opera la prima trasformazione, che la seconda trasformazione».

Inevitabile, dunque, che in un momento di crisi per il settore si cerchi di diminuire le spese. Anche a discapito talvolta della qualità. E così, forse, l’eliminazione dell’obbligo di utilizzare seme certificato non fa altro che accentuare una tendenza già in atto dallo «sboom» del prezzo delle materie prime. «Sicuramente è un errore, almeno secondo noi imprese della prima trasformazione – conclude Vacondio – ma il fenomeno lo stiamo purtroppo già in parte conoscendo».

Il parere del Comitato tecnico agricoltura della Conferenza Stato-Regioni coglie di sorpresa anche Giuseppe Amato, direttore generale del pastificio «Antonio Amato e C.». «Se questa è la posizione di Assosementi, a fronte di una simile ipotesi – sostiene Giuseppe Amato – ne hanno ben donde. Si tratta di un’ipotesi che, se venisse confermata, vanificherebbe un percorso di attenzione verso la qualità e la valorizzazione della filiera del grano duro, che ha preso avvio coi ministri De Castro e Zaia, ancora oggi perseguita».

Schierato in difesa dell’eccellenza del frumento duro per la realizzazione di uno dei piatti simbolo del Made in Italy, Amato punta ad evidenziare che la valorizzazione del prodotto si può comunque perseguire.

La «Antonio Amato e C.», infatti, già dal 2007/2008 ha siglato un Progetto integrato di filiera con alcuni imprenditori legati a Confagricoltura. «Contratti di filiera soddisfacenti per tutti i partecipanti – precisa – e che hanno portato al conferimento ai nostri impianti di oltre 15mila tonnellate in due anni, con grano duro di qualità coltivato in Umbria, Puglia e Calabria».

Semaforo rosso, dunque, anche per Amato all’ipotesi di approvazione di una «de-regulation» che non impone di impiegare seme certificato. Quello che preoccupa forse maggiormente l’imprenditore campano della pasta è la situazione di crisi che stanno vivendo molte aziende agricole.

«Restando nel settore dei cereali e del frumento duro – chiosa – con una redditività così mortificata come ora rischiamo due effetti negativi a breve termine. Cioè una minore produzione per il rallentamento che c’è stato sulle semine, ma anche una minore resa per ettaro, visto che il rischio concreto è che gli imprenditori agricoli cerchino di contenere i costi di produzione attraverso trattamenti ed operazioni al risparmio».

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